Cocci, ossa e falcetti, reperti di storia della terra bellunese: Mondini, l'uomo che racconta gli antenati

Travolto dalla passione per l'archeologia, oggi Carlo Mondini è tra i maggiori conoscitori di protostoria locale

Martedì 26 Settembre 2023 di Daniela De Donà
Cocci, ossa e falcetti, reperti di storia della terra bellunese: Mondini, l'uomo che racconta gli antenati

BELLUNO - Da quarant'anni Carlo Mondini va a caccia di raschiatoi, schegge, cocci, ossa e falcetti per raccontare la storia antichissima della terra bellunese. E di chi ci viveva: nostri antenati di passaggio, con donne raccoglitrici e uomini cacciatori, ma anche abitanti stanziali, dediti ad agricoltura e allevamento di ovini. Carlo Mondini ha 77 anni: arrivò in città da insegnante di educazione fisica.

E non se ne è più andato. Una passione, tra l'altro, ha legato lui, modenese di nascita, alla nostra provincia: la dedizione profonda per la storia che parte dal reperto archeologico e che, in tandem con Aldo Villabruna, lo ha portato sia alla nomina di "Membro aggregato dell'Istituto italiano di Preistoria e Protostoria", sia, nel 2014, all'onorificenza del Pelmo d'Oro.


Quello dell'archeologia, scienza che ha come presupposto specifiche competenze, non era il suo campo: come è scoccata la scintilla?
«Non sono un archeologo, ma ho studiato. Questa è la base. Tutto è nato, a metà degli anni Settanta, notando un fatto: la mancanza di reperti preistorici al Museo di Belluno. Una stranezza, visto che le regioni limitrofe, con le stesse situazioni ambientali, erano ricche di testimonianze. In provincia di Belluno, invece, non c'era alcuna visione di popolamento. Pareva, in base ai reperti, che la prima colonizzazione fosse avvenuta solo nell'età del ferro da parte dei Paleoveneti, oggi chiamati antichi Veneti».


Così iniziò l'avventura con cazzuole e scopette...
«Più una molla fondamentale: la curiosità che ti porta alla ricerca. Ecco che, Con il Museo civico, gli Amici del Museo e Aldo Villabruna, avviammo la prima attività di ricerca di superficie a Nareon di Trichiana. Un sito interessante dove trovammo reperti di cultura materiale databili tra 6000 e 4000 anni fa».


Non solo strumenti in pietra, ma vasellame e focolari: cosa indicavano?
«Attestavano la prima presenza stabile in provincia. Precedentemente gli studiosi ritenevano che, fino a 10mila anni fa, il territorio provinciale fosse solo frequentata da gruppi di passaggio. In battute di caccia stagionali, in primavera e d'estate, seguivano oltre i 2000 metri di quota, stambecchi, cervi, caprioli e marmotte».


Datazione precisa, ovvero 6300 anni fa, riguarda il Col del Buson, località sopra Case Bortot, nella frazione cittadina di Bolzano bellunese. Un sito importante?
«Importantissimo. Trovati migliaia di strumenti, raschiatoi, punte di freccia e falcetti utilizzati forse per la fienagione».


Torniamo indietro nel tempo: uno snodo nella scoperta di tasselli della storia bellunese fu il ritrovamento, risalente e 14mila anni fa, di uno scheletro di cacciatore nel "riparo Villabruna", in Comune di Sovramonte...
«Aldo mi portò a casa alcuni strumenti in selce che là aveva trovato. Tornammo il giorno dopo e fu un' emozione: frammenti ossei umani, un omero e un perone, indicavano una sepoltura. Era il 1989. Ora a Sovramonte aprirà un Museo sul tema. Seguirono altri ritrovamenti, testimonianze del Mesolitico, tra cui la sepoltura dell'uomo di Mondeval, grazie agli amici del Museo di Selva di Cadore».


Lei ha scavato un po' dappertutto in provincia, dal Monte Avena al Cansiglio. Quale la regola numero uno per l'appassionato di archeologia?
«Intanto va precisato che ho lavorato sul campo in collaborazione o con la supervisione del dipartimento archeologico dell'Università di Ferrara e la Soprintendenza archeologica del Veneto. Direi che, pur con tutta la passione, bisogna mettersi in tasca tantissima pazienza. E occorre anche essere pronti alle delusioni: a volta si scava, si scava e non si trova nulla».

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