Annamaria Tiozzo, una delle manager più influenti del Medio Oriente: «Così testo i prodotti per il mercato arabo»

Lunedì 29 Aprile 2024 di Edoardo Pittalis
Annamaria Tiozzo

CHIOGGIA - È nata e cresciuta a Chioggia una delle donne più influenti dell'economia islamica nel mondo, la Guida dell'Islam l'ha inserita tra le 500 personalità e i giornali l'hanno promossa tra le 50 eccellenze dell'anno. Annamaria Tiozzo, 53 anni, parla sette lingue, fa lezioni di marketing islamico nelle università di mezzo mondo, per mestiere dirige l'ente che garantisce la certificazione religiosa ai prodotti per i consumatori islamici, il World Halal Developement. Ha anche cambiato religione, aggiungendo al nome quello di Aisha, che vuol dire Vita. Una strada di successo per la figlia di Giannino "il re dei cinema e delle discoteche" di Chioggia.
«Io da bambina vendevo popcorn e caramelle, proprio come in Nuovo cinema paradiso'.

Un fratello era alla cassa, un altro nel locale. Ricordo il fumo delle sigarette che formava un nuvolone denso sopra le poltrone e per terra c'era un tappeto di semi di zucca»".


Come è stata l'infanzia a Chioggia?
«Mio padre gestiva il cinema Vittoria e quattro dei cinque cinematografi di Chioggia. La nostra famiglia era nel settore dal 1920, quando ancora il cinema era muto. Mia madre Rosemarie Duge Kern era tedesca, una donna bellissima, una specie di Grace Kelly. Eravamo due sorelle e due fratelli, lei usciva con questi quattro figli biondi in scala. Un'infanzia magica, comunque già molto internazionale: mia madre parlava tante lingue e ci spingeva a viaggiare. Ho una foto in cui avevo quattro anni, tenevo tra le mani una pecorella di peluche ed ero su un aereo Alitalia, affidata a una hostess per il Canada. Uno zio sarebbe venuto a prendermi».


Il cinema quanto ha contato in quell'infanzia?
«Era tutto, venivamo da una famiglia di marinanti di Sottomarina e siamo cresciuti divisi tra la scuola e il cinema dove lavoravamo tutti. Di film non ne perdevo uno, poi avendo anche una discoteca sono arrivate le musiche che per me hanno sostituito quelle dei cartoni animati. Ricordo le band che suonavano, poi le serate del liscio, la discoteca col dj entrava in funzione la domenica pomeriggio. Venivano complessi che poi sarebbero diventati famosi, come i Pooh. Ho un disco di Red Canzian che ancora non era nei Pooh, s'intitola "Capsicum Red", ricordo che c'era una marea di ragazzine che strillavano il suo nome».


Come da quel mondo che descrive magico è finita in un altro completamente diverso?
«A 23 anni sono andata nello Yemen per seguire una gara d'appalto, parlavo diverse lingue e mi occupavo del settore del petrolio e del gas. Dopo vent'anni era esattamente lo stesso paese del film di Pasolini "Le mille e una notte". Mi occupavo di diritto commerciale e c'erano tre sistemi legali diversi: era uno Stato recente, il giudice affidava la sentenza ai capitribù che la trasmettevano agli imputati; così avevi di fronte lo Stato nuovo, il diritto tribale e la Sharia che è il diritto divino. E ognuno poteva legittimamente prevalere sull'altro. Ci sono rimasta sette anni tra andate e ritorni, un'esperienza dura, ma lì ho trovato marito e ci siamo trasferiti a Parigi. Alla sua morte, nel 2007, ho aperto un'azienda che è uno sviluppo dell'ente di certificazione religiosa. Garantiamo ispezioni su aziende alimentari, cosmetiche, farmaceutiche e altre per accertare che il prodotto sia adatto a un consumatore musulmano secondo una normativa internazionale: l'organizzazione della Conferenza Islamica raccoglie 57 paesi e in materia corrisponde alla Comunità Europea. Per studiare la finanza islamica e il diritto tribale e perfezionare lingua e leggi mi sono iscritta all'università islamica di Sana'a, la capitale dello Yemen. Mi sono inventata il marketing islamico».


Cos'è il marketing islamico?
«Siamo considerati oggi i più grandi e i più esperti e siamo specializzati in cosmetici e farmaci, certifichiamo grandi aziende. Si tratta di seguire un prodotto dalla creazione alla vendita e destinato a un consumatore targetizzato per fede, che segue cioè precetti religiosi. C'erano aziende che non entravano nel mercato e non si spiegavano il fallimento dovuto a errori di comunicazione e di produzione. Perché non vendi cravatte dove gli uomini non portano la cravatta. Perché non ha senso esportare orologi d'oro per uomo in paesi dove l'uomo musulmano non indossa oro o seta che sono considerati oggetti solo femminili. Capisco allora che c'è una marea di informazioni che mancano e che le nostre aziende necessitano di consigli e guide sicure. Basta un errore di comunicazione per perdere milioni di dollari. Parliamo di un quarto della popolazione mondiale. Adesso sono titolare di questo ente e insegno certificazione religiosa e marketing in molte università in Italia e nel mondo. Il fatto che parli sette lingue aiuta».


Nel frattempo, ha cambiato religione?
«Non è stata una passeggiata, essere musulmano in Italia non è come esserlo a Dubai. Ho perso per questo anche alcuni lavori e alcuni insegnamenti. Non mi sono convertita per amore, ma per convinzione. Per l'Islam ci sono stati molti profeti tra i quali Gesù. Nessun musulmano si offende per il crocefisso alla parete di un ufficio o di una classe, Gesù è un loro profeta. Nessuno vuole toglierlo e la stessa cosa vale per il presepe. Per l'Islam, Gesù è nato da Maria che era Vergine e Maria è l'unica donna citata più volte dal Corano».


C'è un turismo arabo in Italia?
«Sì ed è in aumento. Abbiamo da qualche anno fondato un programma per il turista arabo in Italia: i miei amici musulmani che vanno a Roma la prima cosa che vogliono vedere è col Papa, le chiese con le loro opere d'arte. È il primo paese desiderato per la vacanza, ma scartato dal 70% per un problema di tipo alimentare, non siamo preparati a riceverli con le diverse esigenze alimentari. Attenzione. Non dobbiamo stravolgere le nostre abitudini, loro vogliono esattamente la cucina italiana, ma senza il maiale, senza il vino. I prodotti li abbiamo, ci sono 1000 aziende alimentari certificate in Italia. In realtà, possono mangiare quasi tutto: gli spaghetti al pomodoro, la frittura di pesce, il branzino al forno, tutti i dolci senza alcol, per fare qualche esempio di menu. Abbiamo fatto corsi di formazione dei cuochi del Quirinale, non solo per quello che servono, ma anche per come lo servono. Per esempio, gli islamici non possono mangiare su piatti d'oro o d'argento, l'eccessiva opulenza è riservata solo nell'aldilà».


Perché c'è questa esitazione verso il turista arabo?
«È una fetta di turismo abbiente, ma è come se l'Italia stesse perdendo tempo a prendere le misure. Ci siamo mai chiesti perché siamo l'unico paese in Europa dove non ci sono banche islamiche e dove raramente gli arabi mandano i figli a studiare nelle università? Si pensi al calcio, l'Italia è la sola dove nelle squadre di club non ci sono capitali arabi. Eppure i calciatori italiani sono tutti molto conosciuti, a incominciare dall'allenatore Mancini. Ma sono conosciuti anche gli stilisti e gli archistar e i cuochi, si pensi al successo dei ristoranti italiani a Dubai, a incominciare da quello del veneziano Arrigo Cipriani. Bisognerebbe incominciare a capire meglio quel mondo, senza pregiudizi».


Come spiega, lei donna, il suo nome nell'elenco delle 50 top manager del mondo e nella Guida delle persone più influenti dell'economia islamica?
«Nel 2016 ho anche avuto l'onore di moderare il Forum per l'economia islamica e la finanza islamica nel mondo. Era la prima volta di una donna musulmana, oltre tutto occidentale. Quello stesso anno sono stata inserita nella guida delle 500 persone più influenti dell'economia islamica mondiale. Qualche anno dopo ero tra i primi 50 e ancora nei primi 5: premiata come donna dell'anno nel settore cosmetica e moda».

Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 09:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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