Cyberbullismo, il padre di Carolina, 14enne suicida: «La legge è il primo passo. Ma servono strutture»

Martedì 7 Febbraio 2017 di Andrea Andrei
Carolina Picchio, la 14enne di Novara suicida vittima dei cyberbulli

La voce è calma, quasi serena. Le risate intramezzano le frasi, come a voler sdrammatizzare il dramma che lui non fa che rivivere, ogni volta che si alza la mattina, ogni volta che chiacchiera con un medico, con un poliziotto, con un giornalista. Perché è da un maledetto giorno di gennaio del 2013 che la vita di Paolo Picchio non è più la stessa.

Quel giorno sua figlia Carolina, una ragazza di 14 anni di Novara, si è tolta la vita lanciandosi dal balcone dopo che alcuni suoi compagni l'avevano immortalata in un video a sfondo sessuale, girato a una festa mentre era visibilmente ubriaca, e avevano diffuso il filmato online. «Non ricordava nulla di quella sera. Ha scoperto cos'era successo solo quando ha visto il video in Rete», spiega il padre. Lo ha scoperto perciò mentre già erano cominciati gli insulti, i commenti osceni, i "like" che a migliaia piovevano su quel video da ragazzi della sua età, che fra uno "smile" e l'altro firmavano la sua condanna.

LA MISSIONE
Da quando sua figlia non c'è più, è come se Paolo di figli ne avesse trovati migliaia. Nelle scuole, nelle città dove va instancabile a incontrare i ragazzi e a parlare della sua esperienza, a rinverdire un dolore inimmaginabile con un unico obiettivo: «Quello che è successo a Carolina non deve accadere a nessun altro. Mai più». Lo stesso spirito con cui oggi, in occasione del Safer Internet Day (la giornata mondiale dedicata alla lotta al cyberbullismo), ha partecipato al convegno "Felici di navigare", organizzato dalla Casa pediatrica Fatebenefratelli Sacco al Tribunale di Milano, dove ha letto la sua lettera a Carolina.

«Fu lei a scriverne una prima di morire - ricorda, mentre la voce tradisce l'emozione - dove spiegava esattamente quella che era la sua volontà. Lei non voleva che nessuno soffrisse quello che lei aveva dovuto soffrire. Perché, scriveva, "le parole fanno più male delle botte". È per questo che ora non mi fermo mai. Incontrare i ragazzi, confrontarmi con loro e aiutarli mi dà la forza. Capita spesso che dopo gli incontri nelle scuole qualcuno di loro mi si avvicini e cominci a raccontarmi i suoi problemi. A dirmi di come vengano isolati dal branco, delle prese in giro e degli attacchi che sono costretti a subire dai coetanei sui social network. Della solitudine, del silenzio e della vergogna in cui si chiudono, senza avere il coraggio di parlarne con nessuno. Finisce che ci ritroviamo lì a piangere. Io so cosa vuol dire. Il bullismo tocca la parte più intima di te».

E dire che Paolo, già molto prima di cominciare il suo “tour” nelle scuole (il termine lo fa ridere), era abituato a viaggiare. Lo ha fatto tutti i giorni per una vita, per conto di una casa editrice, la DeAgostini, che a Novara aveva la storica “officina delle mappe geografiche” e per la quale lavorava come direttore degli affari generali della finanziaria. Ora che è in pensione, ha ricominciato a viaggiare, ma per motivi ben diversi, che non avrebbe mai immaginato. Quello di Paolo è il volto nascosto del cyberbullismo, che attacca prima i ragazzi e poi entra nelle famiglie, nella quotidianità, distruggendo tutto ciò che incontra. Ma Paolo è diventato anche una bandiera della lotta a questo fenomeno, così come la storia di Carolina è stata la prima ad aver gettato luce sul problema, aprendo la strada al decreto legge, proposto dalla senatrice Pd Elena Ferrara (che era anche insegnante di Carolina) che tra le altre cose si prefigge di semplificare le modalità di segnalazione degli episodi di violenza sul Web.

LA LEGGE
Ora quel decreto è stato approvato in Senato in terza lettura e tornerà di nuovo alla Camera. «È un altro passo avanti - conferma Paolo - Ma è fondamentale che la legge venga approvata così com'è, senza modifiche, il prima possibile. È una legge che pone al centro la scuola, e la scuola ha un ruolo determinante. E poi il decreto prevede l'ammonimento, che è uno strumento di legge non punitivo e a mio parere efficace: per i reati di non particolare gravità un ragazzo può essere perseguito ma avere un'altra possibilità. Anche i bulli si possono e si devono aiutare. Per questo dico sempre ai ragazzi di isolarli e denunciarli. A me interessa recuperare anche loro, anche quelli che hanno fatto del male a mia figlia. Sarei più tranquillo se sapessi che hanno capito la gravità di quello che hanno fatto e se si applicassero per spiegarlo anche agli altri».

Un'altra parte importante di quel decreto legge dà la possibilità ai minorenni di denunciare eventuali abusi alle piattaforme Web senza dover passare dai genitori. «Gli adulti hanno difficoltà a capire e ancor più a intervenire - spiega Paolo - Il metodo più efficace per la prevenzione dei cyberbullismo resta confrontarsi con i ragazzi. Ci siamo accorti, dopo i nostri incontri, che spesso sono loro a educare i genitori su un uso consapevole di Internet. Oggi molti genitori vivono in un mondo tutto loro, e i social diventano babysitter digitali. Pochi sanno ad esempio che WhatsApp non potrebbe essere scaricato dai minori di 16 anni. Ci sono 4 milioni di ragazzi vittime del bullismo nel nostro Paese. È una piaga sociale. Quello che darebbe davvero una mano a risolvere il problema è creare delle strutture su tutto il territorio che possano dare assistenza specifica in questi casi. Che possano seguire i ragazzi e affiancare le famiglie nel lungo e difficile percorso di recupero. Ma per questo servono fondi, ed è urgente trovarli».

andrea.andrei@ilmessaggero.it

Twitter: @andreaandrei_

Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 07:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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