Tintoretto e Venezia, la mappa di una città e di una società nel '500. E poi c'è la questione del nome del maestro: è sbagliato

Domenica 17 Dicembre 2023 di Adriano Favaro
Melania G. Mazzucco

«Si chiama Iacomo Tintoretto, non Jacopo.

Iacomo con la "I" è il suo nome corretto perché così lui si è sempre firmato, sia nei documenti familiari che in quelli ufficiali. Nessuno, nemmeno le persone che gli stavano attorno, usava Jacopo: io ho scelto Jacomo con "J" che si trova soltanto una volta nell'archivio; ma è il nome con cui lo chiama Marietta. Lei quando firma i documenti scrive Jacomo: poiché io sono arrivata a lui, Tintoretto, attraverso la figlia Marietta, mi sembra un omaggio. Jacopo: è un toscanismo che si usava nel 400: ma nel 500 a Venezia diventa Jacomo".

Tutti libri d'arte e i siti del web "sbagliano" quindi ma non è per questo che Melania G. Mazzucco insiste per consegnare alla storia veneziana il nome originale di uno dei più grandi pittori cinquecenteschi (1519-1594). È perché questa scrittrice-saggista è appassionata così tanto della storia di Jacomo (e della sua famiglia) che di fronte alla ristampa prima edizione del 2009 - con modifiche, accrescimenti e novità del libro "Jacomo Tintoretto & i suoi figli. Storia di una famiglia veneziana". (Einaudi, 1001 pagine, 48 ), non nasconde di essere diventata col tempo lei stessa "un personaggio della Venezia di quegli anni".


Ci spiega come non perdersi in tutte le vicende che racconta?
«In questo libro ho mappato una città intera. All'inizio rimasi folgorata da Marietta, la prima figlia di Tintoretto, anch'essa pittrice, poi ho scoperto il padre e quindi tutto il mondo veneziano di quell'epoca, penso di averne capita la mentalità».


Un esempio?
«Ad un certo punto mi trovo tra le mani le carte del processo alla madre di Marco Episcopi, il suocero di Tintoretto, che fu anche un committente di suoi molti lavori. Si tratta di un piccolo processo fatto ad una donna, accusata di arte magica bianca: perché faceva gli scongiuri contro chi le aveva rubato la biancheria; come non rimanere affascinati da queste vite».


Ho contato la bibliografia da lei usata: più di 500 opere.
"Non ho mai avuto fretta. Per quanto riguarda il tempo credo di condividere col Maestro il gesto veloce del pennello perché ho anch'io una furia nel momento in cui scrivo paragonabile al suo guizzare. Nello stesso tempo, come i pittori che lasciano incompiuta una tela per anni nel loro studio, ho unito alla velocità furiosa una lentezza esasperante».


Lei scrive: Tiziano ha dipinto solo per i principi. Tintoretto ha lavorato per tutti.
«Sì. Per questo anche ho fatto un libro "fuori scala e fuori genere", una biografia di un grande artista e di una famiglia dentro la biografia di una città».


Che città ne viene fuori?
«Interessante; spesso è una Venezia violenta, con molte violenze sessuali, anche terribili, documentate: giovani maschi e donne aggrediti e violentati, bande che di notte taglieggiavano intere zone. Un capitolo intero, per esempio, è dedicato alle "Tintorette" che documenta anche il sogno di libertà di molte ragazze chiuse in convento e i loro tentativi di fuga, o le pene pagate per i tradimenti alle regole, specialmente da suore in convento. Ma è stato bellissimo scoprire come Perina, l'umile figlia di Tintoretto diventi badessa».


Ha messo in copertina un autoritratto di Jacomo: che occhi!
«Io vivo con quello sguardo: ce l' ho sempre davanti a me. Un uomo che ha fame di vita, spavaldo, arrogante però curioso, col desiderio di uscire dalla notte e dell'anonimato, non essere più una persona insignificante».


Lei scrive, citando anche Gadda ("la luce è la madre di tutti gli alluci") delle ombre di Jacomo.
«Ho guardato i quadri con sale da cui emergono figure e tutto il resto è oscurità: che fascino. Tintoretto era nuovo anche se "prendeva" tutto da tutti: penso al quadro del 1549 "San Rocco che cura gli appestati". Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere. Pitturava con una passione divorante dell'ombra».


Il suo libro mappa, come un Gps i lavori di Tintoretto. Ma quanta gente è riuscita a vedere tutte le opere di questo veneziano pittore immenso, inquieto, modernissimo?
«In oltre dieci anni di lavoro ho incontrato una persona che ama e sente con la mia stessa intensità: il professor Erasmus Weddigen, che continua a cercare nella vita e nelle opere di Tintoretto».


Una Mazzucco poco più che ventenne soggiorna a Venezia e, in un quadro a san Giacomo dell'Orio, incontra per caso Marietta Tintoretto.
«Da allora non smetto di cercarla. Ma non bisogna cadere nella trappola di farla esistere perché la desideriamo. Le sue opere sembrano sparite nella seconda metà del 700: ma indagando si troveranno».


Scrive come la famiglia Tintoretto, otto figli, non abbia avuto quasi relazioni con la città: nessuno che tenga a battesimo il bimbo di un amico, e così via. Insolito.
«Jacomo non era amico di nessuno, molto strano davvero. L'unico personaggio un po' socievole è il figlio Dominico, che viene ricambiato da disistima dei veneziani, che non l'aiutano quando vuole fare di casa Tintoretto un'accademia. I Tintoretto erano estranei a molte dinamiche della città».


Come vive il pittore con così tanti figli e figlie?
«Croce e delizia; il peso dei tanti figli lo perseguita e lo costringe a lavorare ossessivamente. Però coi figli c'è gratitudine. Pensiamo a Marietta avuta (pare) con una donna tedesca, fuori dal matrimonio: Tintoretto ha stupito i contemporanei perché riconosce quella bimba. Gesto non frequente. C'è poi un risvolto triste dei Tintoretto: nessuno ha avuto discendenza che sia vissuta a lungo. Marietta ha un bimbo che morirà a tre anni».


Visita la Scuola di San Rocco?
«Sono diventata una consorella e sono orgogliosa di ciò. Torno in inverno, con luce come quella di questi giorni e poca gente. Così si capisce la città; compresa quella di 500 anni fa».

Ultimo aggiornamento: 18 Dicembre, 09:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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