Rovigo. L'ondata Covid sembra proprio passata: nel 2023 in Polesine meno decessi che nel 2019, l'anno prima della pandemia

Domenica 18 Febbraio 2024 di Francesco Campi
La terapia intensiva Covid all'ospedale di Trecenta

ROVIGO - «Oggi vediamo il futuro con una certa serenità, due anni fa non sarebbe stato così scontato, e i dati sulla mortalità che si riallineano con il periodo pre-pandemico, sono un segnale di grande importanza». A sottolinearlo il presidente dell’Ordine dei medici Francesco Noce, che evidenzia anche come «la dura lezione del Covid ha comunque insegnato qualcosa: ora siamo dotati di un piano pandemico adeguato, speriamo di non doverlo sperimentare, ma ci dovrebbe permettere di non farci trovare impreparati». Come, invece, avvenuto in un periodo che sembra lontano nel tempo e nascosto nei meandri delle memorie di tutti, eppure è stato poco fa. Mercoledì, infatti, saranno quattro anni da quando l’Italia ha pianto il primo morto di Covid, all’ospedale di Schiavonia, a due passi da qui, il 21 febbraio 2020. L’inizio di un incubo del quale per mesi non si intravedeva una fine. Ma la fine è arrivata e anche se il Covid non è scomparso, non è più la bestia feroce che ha seminato terrore e lutti nei primi due anni dalla sua comparsa e si sta sostanzialmente allineando ai normali virus influenzali.

I NUMERI

Questo lo testimoniano anche i dati sulla mortalità, che dopo l’impennata nella fase più acuta della pandemia, sono ora tornati a valori analoghi al periodo a.C., avanti Covid. Confermando la letalità del virus nel primo periodo della sua circolazione e confermando l’importanza dei vaccini, smentendo al tempo stesso la litania dei no-vax sul presunto aumento delle morti improvvise, che purtroppo ci sono sempre state, solo che prima non veniva prestata la stessa attenzione da parte di chi non se ne perde una pur di commentare sui social «colpa del siero» o altre amenità certo non gradite ai familiari di chi si è spento. I numeri, tendenzialmente, non mentono. E questi sono verificabili, anche empiricamente, nella dimensione provinciale del Polesine grazie alle serie mensili sulla mortalità diffuse dall’Istat. Da gennaio a settembre 2023 i decessi in provincia sono stati 2.127. Nello stesso periodo del 2019, quindi prima della comparsa del Covid, erano stati di più, 2.194. Guardando al decennio precedente, tanto per prendere un riferimento, fra gennaio e settembre 2013 erano stati 2.189. Invece fra gennaio e settembre 2020, quando il Covid si è affacciato anche qui, le morti sono salite a 2.404. Quell’anno, anche a ricordarlo non sembra vero, l’11 marzo, giorno del decreto “Iorestoacasa”, tempo di ansie e di “andrà tutto bene”, di arcobaleni e di prime nubi nere che si addensavano prima della tempesta, il Polesine sembrava allora ancora un’isola felice. La prima morte Covid, infatti, è arrivata il 17 marzo. Poi, dopo un’estate serena, la seconda ondata, con i quasi 300 morti fra dicembre e gennaio. Estrapolando il solo dato di gennaio 2021, si capisce bene: 412 decessi, il valore più alto degli ultimi anni fa tutti i mesi. Per capire, erano stati 286 nel gennaio 2020, 255 nel gennaio 2019 e 300 nel gennaio 2013. A gennaio 2023, invece, 271. Poi, fra gennaio e settembre del 2021, i morti sono stati 2.455. Un numero superato dalla coda del terzo anno di pandemia, l’anno dei contagi a migliaia al giorno, del Covid hotel, dei tamponi di massa: fra gennaio e settembre 2022 i decessi sono stati 2.528. Nel 2023, invece, sono scesi a 2.127. Di questi, 1.184 femmine e 943 uomini, 1.069 avevano più di 85 anni, mentre 1.902 erano over 65.

IL MEDICO

«Il calo della mortalità - sottolinea Noce - indica anche una ripresa di tutta l’attività clinica che durante il periodo Covid era stato necessario sospendere per fronteggiare l’emergenza. Ora per fortuna il Covid è mutato e non è più così letale, grazie anche ai vaccini, arrivati in tempi brevissimi, anche se la tecnologia Rna messaggero era studiata da tempo e ora si prevede che possa dare risultati anche nella lotta ai tumori. Le ricerca genomica è un’evoluzione importante. Il vero problema della Sanità italiana, oggi, è la mancanza di medici, dovuto a un’errata programmazione, seppur con l’aumento delle borse di specializzazione dovremmo tornare a riequilibrare i numeri, ma la verità è che i giovani non trovano più appetibile questo lavoro».
 

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