Padova. Chiara Luppi, la musica come terapia: «Canto con Cocciante, ora sogno Sanremo»

Lunedì 18 Marzo 2024 di Edoardo Pittalis
Chiara Luppi

PADOVA - «Sono la donna tuttofare: faccio la mamma, la nutrice, la prostituta». Così sul palcoscenico Chiara Luppi, padovana, è Esmeralda in "Notre Dame" di Cocciante, la Nutrice in "Romeo e Giulietta" sempre di Cocciante, la Maddalena in "Jesus Christ Superstar" e Monaca di Monza, madre di Cecilia e Perpetua, tre ruoli insieme, nei "Promessi Sposi" di Michele Guardì. Per restare fedele alla parte, nel nuovo musical di produzione francese sarà Louise la madre di Bernadette, la bambina alla quale nel 1858 a Lourdes apparve la Madonna. Chiara Luppi, 49 anni, si prepara per le prove: «Siamo nella fase della costruzione dello spettacolo, le musiche di Gregoire sono intense e in aprile registreremo i brani per il disco. Lo spettacolo esordirà a Roma in occasione del Giubileo». Chiara fa un mestiere nel quale bisogna saper cantare, recitare e anche ballare. Per calcare la scena, la popolare cantante e attrice ha rimesso nel cassetto la laurea di architetto. Una passione nata da bambina, quando un'infezione la costringeva a lunghe assenze dalla scuola e a mesi di ricovero in ospedale. Leggere di tutto era il modo di tenersi aggiornata e di continuare a sognare; la musica, recitare e cantare erano una maniera di sentirsi al centro dell'attenzione. Tutto è incominciato a Rovigo, quando Chiara aveva due anni, nel giardino dei nonni materni, sotto una siepe di fiori gialli.

Che cosa è accaduto nel giardino dei nonni?
«Un'ape mi ha punto alla parotide ed è iniziato un periodo difficile con una serie di interventi che sono durati fino a quando avevo 19 anni. Andavo dentro e fuori dagli ospedali. Mi si gonfiava l'orecchio, la parte destra della faccia diventava enorme. I medici non erano riusciti a trovare la cura, si è creata una fistola soggetta a continua infezione. Si sono alternati più chirurghi, è diventato un caso studiato anche in America. Dai due ai 14 anni ho subito sette interventi con ricoveri anche di tre mesi. In ospedale ascoltavo tantissima musica, parlavo molto con i medici che erano affettuosi con me. Facevo i compiti, cercavo di tenermi al passo. Il problema tornava, mi bloccava alla vigilia degli esami, ho dovuto rinunciare a un saggio finale di pianoforte.

In compenso papà Mario, che lavorava all'ufficio Iva, e mamma Gabriella, impiegata alle Imposte dirette di Padova, mi hanno fatto fare tutti gli sport possibili e ogni tipo di danza. E c'era la musica, a sei anni già imparavo il pianoforte».

Quando è scomparsa la malattia?
«L'ho fatta diventare psicosomatica e solo allora è scomparsa. Ho imparato a gestire questa follia, a trasformare il male in qualcosa di creativo, anche se mi è rimasta una forma di paresi facciale alla parte destra. Però quando sono guarita si è ammalato papà che è morto nel giro di due anni. Subito dopo la mamma ha avuto un primo ictus».

Come è nata la passione per il teatro?
«Nel Piccolo Teatro don Bosco all'Armistizio, dove ci hanno fatto anche trasmissioni della Rai con Mike Bongiorno e Corrado. Ogni tanto mi piace tornarci a cantare. Nel patronato salesiano facevamo tutto da soli, comprese le scene, e rappresentavamo ogni tipo di opera, con entusiasmo e incoscienza. Ho fatto il liceo artistico Modigliani a Padova, avevo professori bravissimi come De Pascale col quale si disegnava e si parlava di filosofia, della luce e della musica. Ho imparato che per gioire cinque minuti devi sempre passare per le ombre della vita. Da studentessa provavo nei garage con band di ogni genere: ho fatto il rock, il r&b, anche l'heavy metal ma ho capito che non era la mia strada. A 18 anni ho incominciato a studiare canto, poi il Conservatorio di Castelfranco per il canto jazz fino al diploma. Prima, però, c'era l'università: mi sono laureata in Architettura a Venezia con una tesi sul restauro dell'ex-Macello di Guastalla. Ho praticato come architetto per un paio d'anni, poi ha vinto la musica e quando sono stata chiamata da Cocciante per una tournée e ho capito che quello era il mio destino. Avevo avuto la risposta ai miei desideri».

Tutta colpa di Riccardo Cocciante?
«Nel Duemila ero all'Arena di Verona per "Notre Dame" di Cocciante, in alto sugli spalti. Mi sono detta che avrei voluto esserci al prossimo spettacolo di Cocciante, ma sul palco. Un anno e mezzo dopo Cocciante fa audizioni nella città di Giulietta e Romeo per una nuova opera. Ho fatto sei audizioni, le ho superate. Alla settima mi prende un attacco di panico pazzesco, non mi era mai accaduto. Eravamo rimaste in due, alla fine ci hanno preso entrambe. Si dovevano fare sei mesi di prova a Verona, il mio ruolo era quello della nutrice. Devi saper cantare, ballare e recitare. La cosa più dura è stata affrontare la personalità forte di Cocciante: ti insegnava come dominare un palco così grande, esigeva da te molta preparazione, non ammetteva debolezze».

È incominciata così la seconda vita di Chiara Luppi?
«Sono stata tre anni e mezzo in giro per l'Italia, lo spettacolo è andato oltre le aspettative. Il musical non era nuovo per me, avevo lavorato nella parte della Maddalena in Jesus Christ Superstar, diretto dal maestro Costantino Carollo. Ho imparato molto, è stata una gavetta straordinaria, oggi ai giovani manca la possibilità di lavorare a certi livelli, manca l'orchestra dal vivo. Questo mi ha spinto a partecipare alla prima edizione di The Voice. Ero nella squadra della Carrà che ci fece capire che bisognava avere un manager e io non lo avevo, era quello il mondo e non ero attrezzata. Sono uscita dopo ben tre passaggi, è servito per farmi conoscere. Mi ha chiamato RTL per incidere il jingle, ho lavorato molto a Rai1 in "Uno mattina in famiglia": con la mia band arrangiavo i brani che venivano richiesti sulla base dei temi della puntata. Lavoro tanto con Blizzard, la grande società di Milano che si occupa delle sigle dei videogiochi in tutto il mondo».

Cosa le piacerebbe fare?
«Sanremo. Sarebbe la mia rivincita: ho fatto Sanremo Giovani nel 2009, sono arrivata ottava su 99, poi si andava avanti col televoto. Oggi mi piacerebbe partecipare con un direttore artistico come Renzo Arbore, uno che capisce davvero di musica e di testo. Ma la canzone è una strada che non ho mai trascurato: ho partecipato a dischi di Umberto Tozzi e di Alan Sorrenti, ho aperto il concerto di Zucchero e quelli di Cesare Cremonini e Mario Biondi. Vanto anche una nomination ai Grammy Awards e da poco collaboro nel cd con Peter Gabriel».

Ma com'è la sua voce?
«Un po' drammatica, forse mi prendono anche per questo. Pur se il mio carattere è più allegro, sicuramente vengo scelta anche per la fisicità. Certo non posso fare la principessa. La musica per me è una terapia, la gente dovrebbe usare più la musica degli antidepressivi, più musica e meno telefonino».

La cosa più difficile?
«Forse è già difficile semplicemente scegliere questo lavoro fatto di alti e bassi. Poi devi trovare le persone giuste con cui collaborare, io ho due punti di riferimento: Gianluca Carollo e Daniela Loro. Così come sono fondamentali i colleghi: Lola Ponce è una donna meravigliosa, generosissima, come lo è Gio Di Tonno. Suono da vent'anni col bassista di Ligabue, Davide Pezzin, musicista eccezionale. Ma se devo trovare un'esperienza difficile sulla scena, eccola: tre ruoli nello stesso spettacolo. Nei Promessi Sposi di Guardì, per esigenze dettate da assenze improvvise, sono stata la Monaca di Monza, la Madre di Cecilia e la Perpetua. Anche cambiare continuamente i costumi era dura, ho ricevuto il plauso dello stesso Guardì che era autore e regista».

Il momento più bello?
«Cantare nel Centro oncologico per i bambini a Padova allo Iov, è stato un momento ma è entrato in profondità». 

Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 10:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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