Treviso. Cagnolino muore dopo l’intervento, i padroni fanno causa alla clinica veterinaria: «Hanno sbagliato a operarlo»

Lunedì 22 Aprile 2024 di Maria Elena Pattaro
Un esemplare di Yorkshire Terrier

TREVISO - Speravano che il loro cagnolino tornasse a zampettare agilmente, per questo hanno accettato di farlo operare a un’ernia. Ma il loro Yorkshire Terrier è morto poco dopo l’intervento e adesso i padroni trevigiani hanno fatto causa alla clinica veterinaria accusandola di malasanità. «L’animale non andava operato: aveva un forte scompenso al fegato che non è stato nemmeno preso in considerazione dai veterinari - spiega l’avvocato Nicola Todeschini -. Se i miei assistiti fossero stati correttamente informati degli alti rischi connessi all’intervento, avrebbero fatto una scelta diversa.

Meglio continuare a veder zoppicare il loro cagnolino che perderlo per sempre. I medici sono stati imprudenti».

Il contenzioso civile - tra una famiglia trevigiana e una clinica padovana - è ancora in atto. Ed è soltanto uno dei numerosi casi di malasanità veterinaria di cui si occupa l’avvocato Todeschini, già esperto di responsabilità medica. Pochi se paragonati a quelli umani, ma comunque in crescita, di pari passo con una maggiore sensibilità nei confronti degli amici a quattro zampe.

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«I casi più frequenti riguardano, appunto, la morte di un animale dopo un intervento. Siamo nel campo del contenzioso civile - spiega il legale -. Alle cliniche viene contestata l’imprudenza: non aver informato adeguatamente i proprietari sui rischi connessi all’intervento o non aver eseguito tutti gli accertamenti preliminari sull’animale. O ancora: non fornire tutta la documentazione medica, l’equivalente della cartella clinica umana. A volte neppure le diffide bastano a farsela consegnare». «La situazione è grave - prosegue Todeschini, da sempre grande amante degli animali - perché come il paziente umano ha diritto a un consenso informato sui trattamenti medici che lo riguardano, allo stesso modo il proprietario di un animale deve essere messo nelle condizioni di prendere una decisione consapevole per il proprio amico a 4 zampe. Invece troppo spesso, se la bestiola non sopravvive all’intervento, i medici allargano le braccia, lasciando intendere che poteva capitare. Serve invece una mentalità più avanzata in questo settore».

I RISARCIMENTI

Il proprietario, una volta dimostrata l’inadempienza della clinica veterinaria rispetto al contratto di cura, può ottenere un risarcimento. Ci sono diverse forme di rimborso. C’è quello relativo alle spese mediche sostenute e, in caso di decesso dell’animale, di smaltimento del corpo. C’è poi il danno tecnico, cioè il valore commerciale dell’animale (per i cani, ad esempio, può raggiungere somme elevate per gli esemplari di razza, mentre è pressoché nullo per i meticci). C’è infine il danno legato alla perdita di un animale d’affezione, che va oltre il valore economico dell’animale, riconoscendogli un valore affettivo.

A questo proposito, un caso che ha fatto scuola, seguito proprio da Todeschini, è quello di Ghibli, il Golden retriever morto soffocato nell’incendio di un’abitazione trevigiana. Era il 2009 e il rogo divampò dal faretto difettoso acquistato nel negozio Castorama (poi inglobata nel gruppo Leroy Merlin). I proprietari furono risarciti con più di 120mila euro, non solo per i danni all’appartamento, ma anche per il danno morale causato dalla perdita di Ghibli. «È stato un passo importante, ma ci sono ancora grandi lacune legislative, che gridano vendetta - conclude l’avvocato, con studio a San Vendemiano - per questo è importante continuare a studiare e a battersi».

Ultimo aggiornamento: 23 Aprile, 12:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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