Ross Perot, morto il miliardario texano che si candidò due volte alla presidenza

Martedì 9 Luglio 2019 di Anna Guaita
Ross Perot
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NEW YORK – Prima di Donald Trump c’era stato un altro miliardario populista che aveva sperato di diventare presidente. Ross Perot ci aveva provato due volte, senza riuscirci, ma la prima volta, nel 1992, aveva ottenuto il 19 per cento dei voti, fatto più unico che raro negli Usa per un candidato che corra come indipente contro i due partiti istituzionali. Perot, un uomo che si era fatto da sè e dalla povertà era assurto a diventare uno degli uomini più ricchi d’America, si è spento a 89 anni per leucemia, nella sua casa in Texas, circondato dalla moglie e i cinque figli.

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Piccolo di statura, con le orecchie a sventola e una voce acuta poco affascinante, Perot aveva però il fascino dell’uomo coraggioso, patriottico e onesto. A parte l’immensa ricchezza, aveva anche sempre dimostrato grande generosità soprattutto verso i veterani, i prigionieri di guerra e le loro famiglie. Era stato membro della Marina fino al 1957, quando, tornato civile, cominciò a lavorare per la Ibm. Venditore straordinario, aveva presto capito però che c’era un ampio spazio per investire nel settore dei servizi, e così fondò la Electronic Data Systems, e da lì la sua fortuna cominciò a crescere.

Fu allora che lanciò la sua campagna per soccorrere i prigionieri detenuti  in Vietnam. E per tutta la vita ha combattuto per sostenere i veterani, con assistenza medica e lavoro. Quasi tutti i suoi impiegati erano ex militari, e obbedivano a un codice militaresco, indossando giacca e cravatta, con i capelli cortissimi, niente barba o baffi, e accettando turni più lunghi del normale.

Convinto che i partiti repubblicano e democratico non stessero facendo nulla per fermare il crescente deficit del Paese, Perot nel 1992 si candidò alle presidenziali contro il repubblicano George Bush senior e contro lo sfidante democratico Bill Clinton. Per farsi ascoltare dal pubblico, Perot comprò una serie di spot di mezz’ora sui principali canali tv, per spiegare le proprie teorie sul deficit, sulla decadenza dell’industria americana e la necessità di adottare un nuovo protezionismo. Come Donald Trump anni dopo con twitter, Perot seppe usare abilmente gli strumenti di comunicazione del suo tempo, per scavalcare l’establisment. Molti rimasero convinti dalle sue spiegazioni e il 19 per cento degli americani gli dette la sua preferenza. Fra coloro che lo sostennero c’era anche un agguerrito imprenditore newyorchese, proprio Donald Trump.

I repubblicani hanno sempre sostenuto che Perot ottenne solo di spaccare il fronte repubblicano, indebolendo Bush e favorendo l’elezione di Clinton. La teoria non è mai stata provata dai numeri, ma è rimasta una ragione di risentimento del partito contro Perot, che dal canto suo non si è mai pentito, tant’è che nel 1996 tentò di nuovo di correre, fondando il Reform Party. In quell’anno però ottenne solo l’8 per cento dei voti e Clinton venne rieletto senza difficoltà davanti allo sfidante Bob Dole.

Perot non ha mai smesso di fare politica, sempre lamentando la crescita del deficit federale, e il trasferimento delle industrie Usa all’estero. Su questo secondo punto, aveva anche riscosso l’attenzione di Trump, che ha usato quasi le sue stesse frasi per la propria campagna elettorale. Fra i due però non è mai scattata una vera amicizia. Ed è facile capire perché. Il texano era famoso per essere un moralista, che si aspettava da suoi impiegati e soci in affari la massima onestà e affidabilità, e non sopprtava le bugie. Ed era pronto a licenziare un dipendente se scopriva che tradiva la moglie: «Se tua moglie non può fidarsi di te – era la sua dottrina – come posso fidarmi io?»

 

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