Eutanasia, sempre più italiani in Svizzera: in un anno 50 casi

Lunedì 19 Settembre 2016 di Carla Massi
Eutanasia, sempre più italiani in Svizzera: in un anno 50 casi
ROMA L'eutanasia su un minore, un ragazzo di 17 anni in Belgio riapre, in Italia, lo scontro etico-politico. Mentre la legge è ferma in commissione alla Camera da tre anni, i malati chiedono una maggiore diffusione delle terapie anti-dolore, le associazioni si preoccupano di aiutare chi vuole andare a morire in Svizzera e, clandestinamente, pazienti, parenti e sanitari prendono decisioni finali.

I SEDATIVI
Il minore soffriva di dolori fisici insopportabili. I dottori hanno usato dei sedativi per indurre il coma come parte del processo», ha spiegato Wim Distelmans, direttore del Centro di controllo dell'eutanasia in Belgio dove è morto il minore. Poche parole, secche. E, per la prima volta al mondo l'applicazione della cosiddetta dolce morte su un malato under 18. Uno choc che le associazioni pro-eutanasia hanno utilizzato per togliere il velo ad una situazione che, non si vede, ma esiste attorno a noi.

LE TELEFONATE
Tra Exit, l'Associazione italiana per il diritto a una morte dignitosa (38mila soci e 20 anni di attività) e Sos eutanasia-Associazione Coscioni si contano oltre 100 richieste a settimana di persone che chiedere di mettere fine alla propria vita. Richieste che raccontano storie di malattie recenti o croniche. Due esempi:«Sono tetraplegico da cinque anni. Dopo numerose complicazioni cliniche il mio corpo è diventato una prigione che mi arreca sofferenza togliendomi autonomia. Necessito di assistenza continua. Sono stanco e non voglio continuare a vivere così. Ero un atleta abituato ad vita dinamica e il mio corpo era un perfetto strumento che ora mi sta imprigionando» e «Ho settanta anni e una neuropatia degenerativa progressiva. Mi ritrovo semi-allettata e non muovo più le gambe. Dipendo da un'altra persona che mi aiuta in tutto. Vorrei andare in Svizzera, ma non ha soldi. Mio marito è morto 13 anni fa. Non sono più in grado di provvedere a me stessa».

LE VISITE
Circa 50 l'anno gli italiani che, dopo esami e visite, arrivano nei centri svizzeri. Solo una minima parte riesce ad arrivare in Svizzera: perché molti desistono, perché non rientrano nelle linee guida elvetiche. Il paziente deve inviare le cartelle cliniche e le dichiarazioni mediche del suo stato.

«Questi numeri sono in continua crescita - spiega Emilio Coveri, presidente di Exit Italia - a giudicare dalla crescita vertiginosa delle chiamate che riceviamo. Non vedo perché debbano continuare a soffrire o andare incontro a un'eutanasia clandestina». Mina Welby e Marco Fraticelli di Sos eutanasia-Associazione Coscioni annunciano che riprenderanno presto con l'organizzazione di viaggi di malati terminali in Svizzera.

Da parte dei medici la richiesta più urgente è quella di intensificare le cure palliative che, in molte regioni, sono quasi inesistenti. Sono 230 gli hospice in Italia, in totale 2.524 posti letto. La più alta concentrazione è al Nord e al Centro con duemila posti. Appena il 16,2% di tutti quelli disponibili. Di fatto, il 40% delle persone affette da dolore non ricevono un trattamento adeguato. Oltre gli adulti, anche gli adolescenti e i ragazzi negli ultimi giorni di vita, chiedono di non soffrire.

LA TERAPIA
«Ogni paziente, anche quando non è guaribile - fa sapere Corrado Cecchetti, responsabile dell'Area Rossa dell'ospedale Bambino Gesù di Roma - è sempre curabile. Ma serve un approccio palliativo vero, un controllo della sofferenza che deve essere vero e totale. Ricordiamo che i bambini e i ragazzi per non vedere la sofferenza dei genitori nascondono la propria sofferenza».

Dalla Chiesa il fermo no a qualsiasi pratica che provoca la morte per mano dell'uomo. «Accogliere la vita in tutte le sue fasi» è l'appello del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, dopo il caso del minore in Belgio.
Ultimo aggiornamento: 21 Settembre, 02:05

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