Natalità, che succede se l’Italia non fa figli? Gli effetti su pensioni, debito e sanità. Le ricette nei Paesi Ue

Contro la decrescita servirebbero 2 nati per ogni donna: siamo a 1,20. Gli effetti nel tempo? Previdenza a rischio e debito al 180%

Venerdì 10 Maggio 2024 di Giacomo Andreoli
Natalità, che succede se l’Italia non fa figli? Gli effetti su pensioni, debito e sanità. Le ricette nei Paesi Ue

La natalità è considerata un’emergenza nazionale.

Da tempo economisti ed esperti hanno alzato il livello di allarme sulla conseguenza delle culle vuote. Per il governo senza nascite non c’è nessun sistema previdenziale in grado di reggere. E nel 2023 in Italia sono nati 379mila bambini, 1.2 ogni donna. Il minimo storico. Sono 14 mila in meno rispetto al 2022 e nei primi due mesi del 2024 si è registrato un ulteriore calo. Nel 2021 erano oltre 400mila, nel 2008 ben 576mila. Ma il trend di discesa va avanti da circa trent’anni e se il Paese proseguirà così nel 2050 ci saranno 5 milioni di italiani in meno e solo poco più del 50% delle persone in età da lavoro.

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PERCHÉ IN ITALIA SI FANNO POCHI FIGLI?
Ci sono diverse ragioni. La spirale demografica, i limitati sostegni alla natalità, gli stipendi fermi, la precarietà. Fattori che concorrono a disincentivare i giovani a mettere su famiglia. La denatalità è un cane che si morde la coda: più diminuisce la popolazione, più si riduce quella in età genitoriale, tra i 15 e i 49 anni. C’è poi la questione salariale. Gli stipendi medi italiani sono di 33.800 euro l’anno (contro i 41mila francesi e i 55mila tedeschi), ma sono bassi soprattutto nelle fasce giovanili, che hanno più difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. Il 43% degli under 35 guadagna meno di mille euro al mese. I lavoratori precari, seppur in calo dal 2021 a oggi, sono ancora 3 milioni e il tasso di disoccupazione giovanile è al 20%, tra i dati più alti nell’intera Unione europea. Come spiegano sociologi e sondaggisti, poi, lavoro e figli sono elementi sempre meno distintivi per l’identità di Millenials e Generazione Z, altra ragione per cui scende il numero di chi vuole avere bambini (ma aumenta il desiderio di adottare tra le coppie dello stesso sesso).


QUALI SONO GLI EFFETTI ECONOMICI DELLA DENATALITÀ?
A rischio c’è la tenuta del sistema pensionistico, sanitario e assistenziale. Solo per pagare le pensioni future, secondo l’Inps, servirebbero tra le 500 e le 600mila nascite l’anno e non bisognerebbe mai scendere al di sotto della soglia di 1,5 lavoratori per ogni pensionato. Oggi siamo già al livello di guardia, a un rapporto di 1,4 e secondo la Ragioneria generale dello Stato il sistema si regge grazie all’aumento del saldo migratorio (più ingressi rispetto alle uscite). Le previsioni, comunque, dicono che il rapporto scenderà a 1,3 nel 2030 e a 1 nel 2050. A quel punto ogni lavoratore dovrebbe sostenere un pensionato. A rischio c’è anche la sostenibilità del debito pubblico. Anche con 1,52 figli per donna, secondo il Def, il debito pubblico salirebbe al 180% nel lungo periodo. E con il ritorno dei vincoli Ue significherebbe la necessità di tagli miliardari alla spesa pubblica, a partire proprio da welfare e pensioni.


QUANTE NASCITE SERVONO PER INVERTIRE LA ROTTA?
Secondo l’ex presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, e le associazioni delle famiglie, per invertire la rotta bisogna riportare le nascite almeno a quota 500mila l'anno entro il 2033. Si potrebbero avere così oltre 1,5 figli per donna, evitando di avere tre anziani per ogni giovane nel 2050. Si tratta di un’inversione molto ambiziosa della curva, ma secondo gli esperti ancora alla portata.


QUALI MISURE HA MESSO IN CAMPO IL GOVERNO?
Dal suo insediamento il governo Meloni ha investito circa 2,5 miliardi sulle famiglie, con l’obiettivo di contrastare la denatalità. L’Assegno unico per i figli è stato aumentato del 50% per il primo figlio e dal terzo in poi. Oggi va da un minimo di 57 euro a un massimo di 200 in base all’Isee. Aumentata del 50% anche la maggiorazione per le famiglie numerose (fino quasi a 100 euro al mese). C’è poi per il 2024 un mese in più di congedo parentale pagato all’80% per entrambi i genitori, assieme ai fringe benefit esentasse fino a 2mila euro per i lavoratori con figli, il bonus mamme fino a 3mila euro per chi ha due bambini (per chi ne ha tre fino al 2026) e il bonus asili nido fino a 3600 euro. Sono poi stati potenziati gli incentivi per assumere a tempo indeterminato giovani e donne e stanziati 460 milioni per i centri estivi e le scuole aperte in estate. In direzione opposta va invece il ripristino dell’Iva al 10% su pannolini, assorbenti e prodotti della prima infanzia. Ora si lavora a una riforma dell’Isee per aumentare gli aiuti pubblici a chi ha uno o più figli, ma anche sul quoziente familiare fiscale, così da ridurre le imposte per le famiglie.

QUALI INTERVENTI SI SONO RIVELATI EFFICACI NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI?
In Francia diversi anni fa si è deciso di dividere il reddito da tassare per il numero dei componenti della famiglia. È il sistema del Quoziente familiare. Se il reddito è di 100mila euro e ci sono quattro membri, l’aliquota fiscale viene applicata su un valore di 25mila euro. Anche grazie a questa misura, il tasso di natalità francese per alcuni anni i è risalito oltre quota 2 figli per donna (prima del calo attuale a 1,6). La Germania, che concede alle famiglie un sostegno fino a 471 euro a figlio, ha poi una curva di denatalità molto più lenta di quella italiana. In altre parti d’Europa la natalità è invece affidata maggiormente a politiche di welfare. I Paesi nordici investono nel sostegno familiare oltre il 5% del Pil. Nel 2022 i tassi di crescita della natalità sono arrivati al 7,5% in Islanda e al 6,7% in Finlandia. Tra le misure utilizzate ci sono congedi parentali lunghi e benefit generosi per i costi delle scuole.

COSA CHIEDONO INVECE LE ASSOCIAZIONI DELLE FAMIGLIE?
Secondo le associazioni delle famiglie è urgente creare un’Agenzia italiana per la natalità, che organizzi politiche di lungo periodo che non dipendano dal governo di turno. Chiedono poi di aumentare la no tax area in proporzione al numero di figli, prevedere sgravi fiscali ingenti alle famiglie numerose e rafforzare in maniera strutturale l’Assegno unico. E ancora: maggiori sforzi per incentivare le assunzioni a tempo indeterminato, soprattutto per giovani e donne, riducendo i contratti precari ed eliminando gli stage gratuiti.

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