Cro, il lento declino e l'amarezza di Tirelli: «Mi hanno buttato fuori dopo 35 anni, ora lo vedo affogare lentamente: così non si salverà»

Domenica 30 Aprile 2023 di Loris Del Frate
Il professor Umberto Tirelli

PORDENONE - «Se devo dire la verità il Cro non lo vedo affatto bene. Mi pare abbia preso una piega verso il basso che potrebbe anche portare, magari non subito, all'uscita dal riconoscimento di Istituto nazionale di ricerca e cura. Sarebbe un duro colpo per Pordenone e il suo territorio». Lui, Umberto Tirelli, il Cro lo conosce bene.

Ci ha lavorato per oltre 35 anni, primario dell'Oncologia clinica e senza dubbio uno di quelli che maggiormente lo ha sponsorizzato in tutte le occasioni.

FUORI DALLO STUDIO
«E pensare - dice - che mi hanno buttato fuori. Mi avevano trovato uno studio all'interno subito dopo la pensione. Pensavo di poter ambire al riconoscimento di primario emerito per continuare ancora a lanciare il Cro nel panorama nazionale ed internazionale. Invece, con la scusa della pandemia, un giorno sono andato in studio e ho trovato tutte le cose chiuse nei cartoni. Sia chiaro, non provo rancore, quell'Istituto mi è entrato nel sangue e veramente mi duole il cuore vederlo andare a fondo».

LA SITUAZIONE
Oggi Umberto Tirelli lavora nella sua clinica privata e continua a pubblicare sulle riviste scientifiche. «Non per vantarmi, ma sono il primo ricercatore clinico del Nordest. Credo di poter dire cosa vedo nel futuro del Cro. Intanto - spiega - non dimentichiamoci mai che il Centro si trova fuori dal mondo, isolato, lontano dalle grandi città e dai grandi centri. Per questo ci vuole fantasia nella ricerca. Serve essere originali e cogliere le occasioni per attirare l'attenzione. Penso a quando abbiamo sviluppato gli studi sulle correlazioni tra tumori e virus, in particolare l'Aids. Penso agli studi sui linfomi. Eravamo tra i primi al mondo, così come con Monfardini quando si studiavano i tumori negli anziani e avevamo anche messo in piedi un altro studio sui tumori nei trapiantati d'organo. Certo, cose di nicchia ma che consentivano di uscire con i nostri studi in tutto il mondo. Oggi si è perso quasi tutto. Resta la dottoressa Vaccher che continua a lavorare sui tumori correlati ai trapianti. Ma è sola».

LE OCCASIONI PERSE
«Credo - va avanti l'oncologo - che si sarebbe potuto lavorare molto bene sul long Covid, ad esempio, sfruttando un settore che in questo momento è caldo e che con approfondimenti scientifici avrebbe portato a nuove scoperte. Se poi ci fosse stata continuità con la ricerca sulla sindrome della stanchezza cronica, come del resto ha sottolineato Anthony Stephen Fauci, l'immunologo statunitense, il quadro sarebbe stato completo. Ma penso anche al fatto che oggi in Italia ci sono oltre 20 mila ultracentenari che il tumore non lo hanno avuto. Perchè? Quali sono le motivazioni? Che cosa hanno in più o in meno? Ecco, questi sono studi che lanciano l'istituto in alto e una volta che sei in alto sei attrattivo anche per medici bravi che a lavorare ci vengono volentieri e fanno gruppo. Allo stato mi sembra che ad Aviano giovani medici capaci non abbiano alcuna intenzione di venire».

IL FUTURO
Al Cro stanno andando avanti i lavori per realizzare lo spazio per la protonterapia. Il rilancio potrebbe partire da li. «Ho paura che si tratti di uno specchietto per le allodole. Certo, è un macchinario importante, ma intanto bisogno vedere tra quanti anni sarà operativo e poi una volta avviato non risolve i problemi. È una apparecchiatura diagnostica valida, ma ce l'hanno anche in tanti altri ospedali e Ircss. Basta guardare il Veneto come si è mosso. Ha fatto grandi passi, ha sedi periferiche che lavorano bene, eseguono interventi chirurgici importanti e tutto in sintonia con il corpo centrale di Padova. Qui da noi c'è ancora rivalità tra il Cro e l'ospedale di Pordenone, per non parlare con quello di Udine. Senza lungimiranza non si va avanti».

IL DESTINO
Dunque il destino del Cro è segnato? «Penso che se non ci sarà un colpo di reni avremo problemi seri ad essere riconfermati come Ircss. E per colpo di reni intendo avere una chirurgia di eccellenza, cosa che oggi al Cro non c'è, fatta salva mammella e ovaio, mentre è fondamentale operare polmone, fegato, rene. Si salva, non so ancora per quanto, la Radioterapia e poco altro. Mancano chirurghi importanti, manca un gruppo di lavoro, manca l'entusiasmo e voglia di lottare. E poi ogni cancro è diverso dall'altro. Sono fondamentali gli studi genetici dei tumori, servono biologi e anatomopatologi per studiare i tessuti malati, individuare nuovi studi e utilizzare farmaci sempre più moderni. Non bastano i protocolli dell'Aifa, soprattutto se fallisce la prima linea di cure. Ma da quanto so, al Cro queste cose non si fanno. Servono soldi, attrazione, cervelli e fantasia. Tutte cose che con il tempo, mi pare, si siano perse».

      

Ultimo aggiornamento: 2 Maggio, 10:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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