Lavoro, numeri record per l'occupazione femminile. Ma le donne pagano sempre il gender gap

Per la prima volta le lavoratrici hanno superato quota dieci milioni ma una su cinque si licenzia alla nascita del primo figlio

Mercoledì 8 Maggio 2024 di Giusy Franzese
Lavoro, numeri record per l'occupazione femminile. Ma le donne pagano sempre il gender gap

Parafrasando una famosa canzone potremmo dire “una su cinque non ce la fa”.

Secondo un recente dossier del servizio studi della Camera dei Deputati sull’occupazione femminile in Italia, una lavoratrice su cinque, alla nascita del primo figlio, rinuncia all’impiego.

Anche se ottenerlo, quel lavoro, non è stato facile. Il 20% molla il lavoro perché sottopagata, o comunque pagata poco. Ma la maggioranza, il 52% di chi decide di licenziarsi, lo fa perché non trova proprio nessuno che glielo tenga quel bebè mentre lei è in ufficio, né baby sitter, né nonni, né meno che mai asili nido disponibili.

E così c’è poco da scegliere, se nasce un figlio la rinuncia al lavoro, totale o parziale, è una necessità. I dati parlano chiaro: una donna su cinque - come detto - abbandona, tra quelle che resistono la metà (il 49% del totale delle donne occupate) ha un contratto part time (contro il 26,2% degli uomini). 

Dieci milioni di lavoratrici

Gli ultimissimi dati Istat indicano un trend del mercato del lavoro in piena espansione. A marzo abbiamo toccato il record del tasso di occupazione: 62,1%. La platea dei lavoratori attivi è arrivata a 23 milioni e 849 mila persone. Mai così tanti. Hanno un posto e uno stipendio 236.000 uomini in più rispetto allo stesso mese del 2023, ma anche 189.000 donne in più. Complessivamente le lavoratrici hanno superato quota dieci milioni (10 milioni e 95.000 per la precisione, contro i 13 milioni e 754.000 degli uomini). Il tasso di disoccupazione è sceso al 7,2%. Eppure la partecipazione delle donne al mercato del lavoro resta piena di ostacoli e l’Italia è sempre fanalino di coda tra i paesi europei. Rispetto alla media Ue siamo ben 14 punti sotto. 

Hai voglia a dire “studia, impegnati, non perdere tempo”. Le ragazze italiane sono brave. All’università vanno meglio dei loro colleghi maschi, si laureano prima (il 63% in corso, contro 59% degli uomini) e con voti più alti (una media di 104,2 contro il 102,4 degli uomini, secondo un focus sul gender gap di AlmaLaurea). Ma dopo, quando arriva il momento di confrontarsi con le offerte di lavoro private, ancora troppo spesso ci si accorge che per i maschi ci sono molte più opportunità. È vero, alcune scelte del percorso di studi non aiutano. Solo il 16,6% delle studentesse universitarie - che poi significa una su sei - frequenta corsi di laurea nelle materie Stem (scienze informatica ingegneria matematica tecnologie varie), le più richieste dalle aziende. Tra gli uomini la quota sale al 34,5%. Tra l’altro non è un fenomeno solo italiano. Nell’Ue - ricorda il dossier della Camera - solo il 22% dei programmatori che si occupano di intelligenza artificiale è rappresentato da donne. Ma dire che in Italia è questo il principale problema, di fatto significa scaricare il peso di un mercato del lavoro distorto solo sulle spalle delle stesse donne: «Non trovi lavoro oppure sei pagata poco? La colpa è tua che hai scelto il corso di laurea sbagliato». Non è così, e bisogna dirlo forte. Perché il problema dell’occupazione femminile in Italia non è soltanto il mismatching, per le donne spesso la difficoltà ancora più grande è quella di tenerselo questo posto così faticosamente conquistato a fronte del legittimo desiderio di avere dei bambini. Bisogna riconoscerlo: ormai non sono pochi i giovani papà che vivono il tempo passato con i figli non come una limitazione alla loro carriera professionale, ma come un “diritto”. Però i dati ci dicono che alla fine, nella coppia, è quasi sempre la donna a sacrificare le proprie aspirazioni e ambizioni “fuori casa” se non si trovano altre soluzioni: e così il divario lavorativo tra uomini e donne che è già molto alto (18%), in presenza di un figlio minore arriva al 34%. 

Gli asili nido sono ancora troppo pochi e mal distribuiti. In tutta la Penisola ci sono poco più di 13.000 strutture per un totale di 350.000 posti (il 49% in asili pubblici) su una richiesta potenziale di 1,2 milioni. In pratica c’è posto solo su un bambino ogni 4. Gli altri tre restano fuori, e per le mamme lavoratrici è un problema enorme. Se poi queste famiglie vivono nel Mezzogiorno, la situazione è disastrosa: in Campania gli asili nido possono ospitare soltanto il 12% dei bimbi, in Calabria il 13%. Il governo qualche giorno fa ha annunciato un piano per implementare gli asili nido con risorse per 734,9 milioni di euro. Una misura importante e necessaria. Ma ancora insufficiente. Si prevedono infatti nuovi posti per 150.000 bambini. Secondo i sindacati in realtà si tratta di un ridimensionamento rispetto al precedente piano che prevedeva la realizzazione di 264.000 posti in più negli asili nido. 

Buste paga leggere

Il lavoro delle donne in Italia resta sottopagato, rispetto a quello degli uomini. Nel privato spesso anche tra colleghi che hanno la stessa qualifica, lo stesso ruolo, la stessa anzianità aziendale e magari lavorano nella scrivania uno a fianco all’altra, la busta paga è diversa per il solo fatto che una è donna e l’altro è uomo. In media, nell’anno, la donna ha una retribuzione più bassa di quasi 8.000 euro (7.922 euro secondo gli ultimi dati dell’Inps). Esattamente un anno fa (il 10 maggio 2023) l’Ue ha varato una direttiva per la parità retributiva tra generi. Gli stati membri hanno tempo fino al 7 giugno 2026 per recepirla.

Per il momento l'Italia sta giocando soprattutto la carta trasparenza: va in questa direzione la norma che obbliga le aziende (pubbliche e private) con più di 50 dipendenti a redigere un rapporto biennale sulla situazione del personale evidenziando eventuali differenze retributive tra lavoratrici e lavoratori. Più una moral suasion che altro, però. Rischiano invece l’esclusione dagli appalti del Pnrr le aziende (anche piccole) che non rispettano la quota di almeno il 30% dell’organico composto da giovani, donne e disabili. Il requisito riguarda la quantità, non le differenze retributive. 

Ultimo aggiornamento: 9 Maggio, 07:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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